
Fare la polenta è un gesto antico, che scalda il cuore, prima ancora di saziare la fame. La tradizione la vuole cotta sul fuoco vivo, nel paiolo appeso alla catena, sul
larìn (il focolare).
A casa della nonna, un tempo, ce n’erano ben tre e quando mamma era piccola la polenta si cucinava proprio così, con mano sicura, come fa la nonnina di questa foto.
Oggi il larìn non c’è più, e neanche la nonna, ma la polenta, gialla, calda, fumante e profumata me la riporta ogni volta.
Per fare una buona polenta occorrono solo poche cose: acqua, farina e sale e un paiolo, meglio se di rame. Il fuoco di legna è sostituito dal fornello e il lungo lavoro di mescolatura può essere svolto dall’apposito attrezzo elettrico. Certo, i puristi diranno che così la polenta si snatura, ma bisogna conciliare tradizione e comodità, non trovate?

Parliamo un attimo degli ingredienti. L’acqua non è un fattore secondario, e in molte città quella che esce dai rubinetti non è un granché. Assodato che non potete scavare un pozzo nel cortile condominiale, vedete se nella cerchia delle vostre conoscenze qualcuno è allacciato ad un acquedotto diverso. Oppure, se fate una gita dove sapete che l’acqua è migliore, portàtene a casa una tanica e usatela subito per polentare! La farina, qui da noi, è sempre e solo gialla, bramata. So bene che altrove le usanze possono essere diverse, ma qui è così e io vi voglio raccontare la “nostra” polenta. E insieme alla polenta, ci mettiamo un bella lugànega e la facciamo “
col scòt”, il sugo di polenta.
Oggi cucina mamma, perché io devo scattare le foto. E poi, diciamolo, a lei riesce sempre tutto meglio, chissà perché ... ;-)
Mettete a bollire 2 litri d’acqua, salatela con circa un cucchiaio da minestra colmo di sale grosso, abbassate o addirittura spegnete il fuoco e incominciate a versare a pioggia la farina, mescolando rapidamente con la frusta. Anche qui, i puristi vi diranno che ci vuole il bastone. È vero, ma con la frusta si rischia meno di fare i grumi! Occorreranno, in tutto, circa 7 etti di farina, ma la quantità può variare anche di molto, a seconda della qualità e anche dal risultato che volete ottenere: la polenta “vera” è dura, a me piace un po’ più tenera. Torniamo a noi. Quando avrete versato un po’ di farina, diciamo circa un etto o due, mettete da parte una scodella di questa pappetta liquida e tenetela in caldo. Ora terminate di versare la farina, mescolando sempre molto bene, poi alzate il fuoco facendo attenzione agli schizzi (è una delle cose più ustionanti che conosco) e accendete il motorino del mescolatore. La cottura dovrà durare 40-45 minuti, a fuoco sempre ben sostenuto.

Passiamo alla lugànega, detta anche "storta".
Trattasi di grossa salsiccia, come vedete, nel cui impasto il mitico Maurizio "bechèr" mette solo carne magra di manzo e di maiale, pancetta di maiale, sale e pepe.
Tagliatela a fette piuttosto spesse e ponetela a rosolare a fuoco vivace con 100 grammi abbondanti di burro, ma di quello buono, eh! Piccola digressione, scusate. Se il burro non vi piace, non sostituitelo con l’olio: in questo caso non ci va proprio! Piuttosto fate rosolare la lugànega nel suo stesso grasso. Però con il burro è tutta un’altra cosa, quindi, se non c’è un problema di intolleranza, non negatevi questo piacere.
Torniamo alla Nostra, che nel frattempo si è ben rosolata da ambo le parti. A questo punto versatevi sopra la polentina molle che avevate messo da parte e lasciate sobbollire a fuoco dolce, mescolando delicatamente ogni tanto, finché sarà cotta la polenta. Se dovesse addensarsi troppo, allungate con un goccetto d’acqua, ma di solito non occorre.
Quando il tempo di cottura è trascorso, alzate al massimo il fuoco sotto la polenta: una bella fiammata farà staccare più agevolmente l’impasto dal paiolo. Ora, via: un colpo deciso e capovolgete la pentola scodellando la vostra polenta sul
tajér!
Bella, vero?

Copritela con uno strofinaccio (trucco della nonna) e lasciatela riposare un minuto o poco più, poi tagliatela -rigorosamente con il filo, da sotto in su!- e servitela con accanto le fette di luganega e il loro sugo.
Come contorno, verdure di stagione: una semplice insalatina in primavera, o “
radicèle” (tarassaco) colte nei prati, buone sia cotte che crude, oppure, in inverno,
capùz sofegàdi (cavolo cappuccio cotto in tegame con burro e cipolla) o anche funghi: io vado matta per i chiodini saltati in padella con olio, aglio e prezzemolo.
Ecco tutto.

No, veramente c’è ancora una cosa. Se la polenta è venuta a regola d’arte, il “cappello” dovrebbe staccarsi spontaneamente: a me non riesce mai. Se non riesce neanche a voi, lasciate raffreddare la pentola, poi passate un coltello tutto attorno per staccare la crosta (che potete sgranocchiare, se vi piace, oppure sbriciolare per gli uccellini) poi riempite d’acqua e lasciate lì per alcune ore, così la pulizia sarà più facile. Se la pentola è di rame, olio di gomito, paglietta, sale grosso e aceto; se invece è di alluminio omettete l’aceto sennò diventa tutto nero.
Vorrei concludere riportando un breve brano tratto da “Elogio della polenta” di Bartolomeo Zanenga (Ed. Casteldardo – 1970).
… Quello che importa, comunque, è che sia farina buona. Cioè: di granturco maturo, possibilmente coltivato in loco (su terre aride, sassose, fra seicento e ottocento metri di altezza, esposte ovviamente al sole, che danno un prodotto assolutamente scadente per quel che riguarda la quantità ma superlativo in fatto di qualità). Non troppo fresca di raccolto e di macina (chè non indururebbe: “la tira al tendro” –al tenero-, come dicevano i vecchi); non troppo vecchia (indurisce subito: “la tira al dur”). Una farina buona da polenta, insomma, ed è difficile dire quale sia: dipende dai terreni, dall’esposizione, dalle annate, come il vino di classe. … (Omissis) … Per te, lettore inesperto, non è il caso di sottilizzare. Compera, possibilmente al molino, qui intorno, il tuo sacchettino di farina di granturco. Versala secondo i canoni dentro l’acqua bollente, comincia a rimestare e che gli dèi lari te la mandino buona. …

Patt
(La foto in b/n è tratta da “Magnàr bellunese” di A. Caprani – 1985)
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